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Dalla geometria alla metafora del Natale

Da appassionata di architettura mi capita di pensare a come sia bella e rigorosa la geometria. A me sembra la rappresentazione concreta del mondo delle idee. Quel mondo che già per Platone costituiva la parte divina dell’uomo.
Nulla in natura è preciso, veramente regolare. La geometria invece è stata inventata dall’uomo, che con la sua capacità astrattiva l’ha resa perfetta: il cilindro, il cerchio, il parallelepipedo… Nelle forme della natura l’uomo ha visto l’imperfezione e l’ha corretta, progettando secondo quelle idee, che sono nella sua mente generatrici di perfezione.
Se vogliamo, così, parlare di divinità, ci si può riferire alla mente dell’uomo, del suo albergare in sè, pur in nuce, l’idea della perfezione, che è il traguardo cui tendere.
E’ presunzione? No! E’ piuttosto il dramma che ognuno di noi vive: trovarsi a vivere in un mondo imperfetto, pur coltivando l’aspirazione al sublime.
Ma il dramma può sciogliersi e diventare consolazione, proprio considerando la progressione dell’uomo di generazione in generazione: dalla ruota all’aereo, dalle palafitte alle cattedrali e, se vogliamo, dal tamburo al pianoforte, dal grugnito alla poesia. Una progressione lenta, ma inesorabile verso il compimento, verso la piena consapevolezza di sè.
Dare, appunto, consapevolezza all’uomo di domani della sua perfettibilità, della sua divina potenzialità è forse il compito dell’uomo d’oggi… E la nascita di un piccolo dio in carne ed ossa dentro la capanna di Betlemme può diventare la metafora di questa conquista filosofica.
Anna Maria Ferrari Boccacci