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Giallo e Femminicidio

Il MIG attraverso il proprio Osservatorio dei Comportamenti e della Gentilezza si è prefisso il compito di osservare i fenomeni sociali ripensando al concetto di gentilezza, non relegandolo ad una delle sue più nobili accezioni, ovvero alle buone maniere, né tanto meno a quel plus relazionale, sempre auspicabile nelle relazioni, bensì ripensandolo e rinfondandolo quale strumento di coesione e sviluppo sociale che parte proprio dalla costruzione di una identità, dunque del singolo individuo, ben strutturata per poi coinvolgere la società tutta in un processo di autodeterminazione. 
 
Non potevano dunque non pensare che l’unico antidoto alla catena di violenze, tante, varie e diffuse, che con un’ escalation costante, minano, alla base la società italiana e non solo, ma anche i processi educativi, fosse proprio la gentilezza.
 
Gentilezza forte ed irriverente, gentilezza capace di scardinare vetusti cliché, ma sopratutto capace di stupire, rapire, meravigliare e disvelare similmente agli effetti di una lettura noir che può essere una forma stessa di prevenzione quando mette in scena, plasticamente, scenari ” gialli” noti o possibili, delineando anche, tra le pagine, ipotesi preventive.
Ricordiamo il grande lavoro psicologico ed anche criminologico che fanno gli autori noir quando pensano ed elaborano i loro romanzi.
Chissà che non siate più preparati di altri nell’approcciare il tema in termini preventivi?
 
Allora, ritornando al tema centrale del femminicidio, vorrei ricordare che prima del 2001 l’unica parola esistente di significato analogo era “uxoricidio”. Tuttavia però, la radice latina uxor (moglie) limitava il significato del termine all’uccisione di una donna in quanto moglie o, più in generale, all’uccisione del coniuge, dal momento che il termine veniva utilizzato anche per gli uomini. La coniatura del termine “femminicido” ha consentito, invece, di identificare l’uccisione di una donna proprio “in quanto donna”. Rappresentando, semanticamente, una rivoluzione.
Attualmente, la parola “femminicidio” non esaurisce però il suo significato nell’atto finale di uccisione di una donna. Piuttosto, identifica un fenomeno molto più ampio che include una molteplicità di condotte, quali: maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa o ancora economica, agite prevalentemente da uomini, in ambito lavorativo, familiare o sociale. Nel loro insieme, quindi, si fa riferimento a comportamenti che minano la libertà, la dignità e l’integrità di una donna, e che possono culminare nell’omicidio, nel tentativo di uccisione o in gravi forme di sofferenza. È quindi “femminicidio” tutto ciò che implica un odio verso l’universo femminile “proprio perché tale”.
 
Ma perché ciò accade? Perché questo fenomeno rischia di essere assorbito dall’immaginario collettivo, quale scenario possibile ma anche comodo al fine di volerne celarne le dinamiche che lo provocano?
Rischiamo di abituarci a questa forma di violenza? Rischiamo di far carriera, come per l’antimafia, ponendo al centro la scarpetta rossa e non il colpevole? Rischiamo di perdere di vista la vittima, siffermandoci sul fenomeno? Non so darvi un risposta ma ho dei timori sull’approccio.
Ho una certezza, spero condivisibile, OCCORRE EDUCARE ALLE RELAZIONI, ALL’ UTILIZZO DEL LINGUAGGIO, ALLE EMOZIONI, ALLA GENTILEZZA.
 
Non possiamo lasciare sola la scuola, dobbiamo dotarla di strumenti, ma è richiesto un impegno da parte di tutta la società a partire dalle famiglie per insegnare a tutti gli uomini e a tutte le donne a riconoscere e rifuggire la mascolinità tossica.
 
Alle bambine occorre insegnare a dire No ed ai bambini insegnare a sapere accettare quel No senza che diventi un fallimento aberrante e frustrante.
 
Certi che la competenza e l’intelligenza sociale e sopratutto emotiva siano fattori indispensabili alla crescita ed alla maturazione della persona, inviterei ad investire sul prezioso capitale umano che sono BAMBINI.
 
È al loro sviluppo psichico che dobbiamo fare attenzione, alla loro emancipazione emotiva.
 
La paura l’ansia l’angoscia sono emozioni che gli individui imparano a riconoscere in quanto meccanismi di difesa da minacce esterne, così la rabbia il rancore e l’angoscia (magari generata da una probabile separazione) sono anche queste emozioni.
I comportamenti umani sono guidati dalle emozioni, ciò significa che il modo di rapportarsi a gli altri e il modo di gestire relazioni è strettamente collegato al sistema emozionale individuale.
Questa abilità tanto complessa vede tra le sue principali caratteristiche quella di riuscire ad interpretare lo stato emotivo altrui: l’empatia.
E chiaro quindi che le emozioni sono delle abilità e come tali vanno affinate a partire dall’età in cui queste vengono ad essere strutturate, partendo dalla prima infanzia.
La cultura della negazione delle emozioni, la cultura familiare che nega le emozioni, la cultura sociale che obbliga a nascondere l’emozione quasi ad essere segno di virilità e di forza non fanno che rendere la comprensione delle emozioni e il potenziamento delle abilità emotive più difficoltoso e capace di produrre mostri.