Ci sono luoghi che non sono semplicemente destinazioni turistiche, ma vere e proprie ferite nella storia dell’umanità.
La Normandia è uno di questi.
Camminando sulle spiagge dello sbarco, là dove il vento porta ancora l’eco dei colpi e delle voci, non si può restare indifferenti. La sabbia sembra trattenere il peso di quei giorni e il mare, con il suo moto incessante, pare voler cancellare ma nello stesso tempo ricordare.
I cimiteri, con le croci allineate all’infinito, raccontano meglio di qualsiasi libro la follia e la disumanità della guerra. Ogni nome inciso è un volto che non conosceremo mai, una vita spezzata troppo presto, un sogno interrotto.
Eppure, in mezzo a tanta sofferenza, la Normandia ci lascia un messaggio forte: la memoria sia.
Sia per i caduti, per le famiglie, per le città devastate. Ma soprattutto sia per noi, oggi, che viviamo in un tempo che sembra aver dimenticato quanto costi la guerra.
Perché la guerra non è mai lontana: comincia ogni volta che si disumanizza l’altro, ogni volta che il potere prevale sul dialogo, ogni volta che si semina odio.
La memoria, allora, non è un rituale sterile. È un dovere civile. È un atto di gentilezza verso chi non c’è più e verso le generazioni che verranno.
Raccontare, ricordare, opporsi: significa scegliere la pace come unico orizzonte possibile.
Dalla Normandia al mondo intero, la memoria sia. Perché senza memoria, le guerre tornano sempre.

