VIZI CAPITALI
(limiti autoindotti)
I “vizi capitali” vengono per la prima volta elaborati e ne parla per primo il filosofo Aristotele (IV secolo A.C.), chiamandoli “abiti del male” delle persone; poi, in seguito, vengono ufficialmente introdotti nell’ambito della teologia della Chiesa con S. Tommaso d’Aquino (XIII secolo D.C.), così dunque da essere considerati quali veri e propri “peccati capitali”, che sono indicati come azioni e/o omissioni dell’uomo in assoluto e grave contrasto con principi e condotte morali del cattolicesimo cristiano.
Premessa-legenda:
“gli altri” = rappresenta il modo in cui ciascuno di noi esprime e proietta la somma dei propri condizionamenti che si è rassegnato a subire;
“simbolo” = tutto ciò (persone, cose, situazioni, ecc.) con cui la nostra attenzione riesca a “connettersi” rappresenta per noi un simbolo. Tutte le volte che ci domandiamo “Perché è così?” in riferimento ad un determinato oggetto o soggetto, quest’ultimo ci dà energia, sempre che però non ci accontentiamo di alcuna risposta; infatti, ogni risposta data non deve mai bastarci o essere esaustiva, ma al contrario portarci sempre ad altri e continui “Perché?”;
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- IRA: è tipico delle persone che ritengono di essere nella ragione, mentre tutti quanti gli altri hanno torto. Chi si identifica nel “Noi”, nella civiltà (anziché nella specie), chi decide che dalla sua parte vi è la verità, il giusto, e dall’altra tutto il resto delle persone che non la vedono così sono dalla parte sbagliata e, dunque, si autolimitano non dandosi l’opportunità di avere un diverso/altro punto di vista. Essi perciò, dal fatto di avere sempre la verità in tasca, non possono che mostrare la conseguente aggressività, che sfocia in ira, per difendere la propria posizione e giustezza assoluta. Ahimè, però, siffatti condizionamenti e autoinganni producono un’amara e dannosa situazione: perdere la concreta possibilità di essere felici (è noto il detto: “vuoi avere ragione o essere felice?!”).
- PIGRIZIA: per pigrizia possiamo intendere l’insieme delle nostre sconfitte e dei nostri errori della vita che continuano ad essere, da ciascuno di noi, ogni giorno a resuscitare e condizionarci; rappresenta il timore di essere sé stessi e di avere il coraggio di agire per far compiere i nostri desideri e far sì che il nostro IO si realizzi. Per la pigrizia ogni desiderio è colpa: cioè paura di staccarsi da ciò che in noi già esiste e, dunque, non riuscire a mettere a frutto le proprie doti.
- INVIDIA: l’invidia è il vincolarsi ed il dipendere dagli altri.
Forse, più di qualsiasi altro “vizio”, l’invidia ci impedisce assolutamente di crescere, così poi da restare totalmente ingabbiati dai condizionamenti che noi, per l’appunto, esprimiamo e proiettiamo ne “gli altri“.
- AVARIZIA: l’avarizia è sostanzialmente l’essere avari riguardo i propri talenti.
Infatti, l’avaro preferisce omogenizzarsi a “gli altri”, anziché dar loro più di quanto ai suoi occhi essi meritano. Di ciò e con ciò l’avarizia impedisce di esprimere la propria energia verso le infinite direzioni e possibilità, e di poter essere la migliore versione di sé stessi.
- GOLA: è il rassegnarsi a farsi offuscare la mente, la psiche, ingurgitando tutto ciò che capita a tiro dinanzi, senza selezione alcuna e senza tener conto dei propri desideri. Il goloso, perciò, nel cercare e nel buttarsi solo nella indistinta abbuffata, di fatto rinuncia a ricercare; e, purtroppo, se un animale sociale rinuncia a ricercare è un essere vivente malato, il quale si avvia inesorabilmente verso la morte (psichica e non solo) certa.
- SUPERBIA: il superbo basta a sé stesso; egli si è chiuso nell’alto della sua “torre” di finte certezze e di pseudosicurezze, amplificando nel contempo il suo narcisismo. Per cui il superbo vede ne “gli altri” una sorta di pubblico ideale alle sue illusioni, facendosi dunque condizionare a tal punto che non deve, non ha bisogno – secondo lui – di fare e di essere nulla di più di quello già è! Pertanto, egli in tal senso si autolimita, non uscendo mai dalla sua “torre” perché vive con la propria finta realtà rinunciando di cercare e di realizzare ciò che desidera davvero per sé stesso (senza, quindi, mai accorgersi che “gli altri” sono finzione e trappola).
- LUSSURIA: la parola lussuria sembra avere la medesima derivazione delle parole lusso e lussazione; significa quindi sia esagerazione (lusso) e sia deformazione o divisione (lussazione). Pertanto, la persona lussuriosa è contemporaneamente “vittima” (cioè subisce i condizionamenti) di una qualche cosa di esagerato, ma anche di parziale: da un lato, esagerato nel focalizzarsi unicamente su un solo simbolo al quale perciò è connesso (il corpo) e, dall’altro, parziale, perché per l’appunto l’unico polo di attrazione per lui è solo una parte dell’altra persona con cui si unisce carnalmente (ovvero la sua rappresentazione per lui!). Nel lussurioso vi è la dispersione della propria energia solamente verso la parte sessuale, rassegnandosi ad ogni altra opportunità e direzione del proprio IO: vi è, dunque, una ristrettezza del proprio orizzonte, una miopia circa le proprie potenzialità e del proprio IO (essendo focalizzato solo su quell’unico specifico simbolo dell’incontro carnale).
Per cui, è essenziale non cadere nella ragnatela del condizionamento de “gli altri”, perché se infatti ci lasciamo ingabbiare dal convincimento collettivo che, ad esempio, la gente è mediocre e stupida, in realtà cadiamo nella trappola – sul piano personale e psichico – che ci siamo in sostanza rassegnati a subire la mediocrità e la stupidità (e, quindi, a farci bloccare nel desiderio di creare e fare)!
Tutto questo ci porta inesorabilmente ad accettare quello che già abbiamo, a rimanere attaccati ai nostri conflitti ed intrappolati in tali perenni conflitti, anziché agire per essere felici. Essere felici vuol dire cercare ed esprimere la propria capacità di generare. Generare qualcosa di nuovo.
Pensa quando decidi di generare un figlio. Ci vuole un grande coraggio e tutto questo ti cambia totalmente la tua vita, ogni cosa viene stravolta! Ci vuole il coraggio di farsi succedere cose nuove.
La maggior parte delle persone si accontenta e non ha il coraggio di decidere di creare cose nuove nella propria vita. E’ bene che ci si ricordi che, ogni probabilità, il peggiore e più distruttivo enunciato (o proverbio) che blocca “i destini” delle vite dell’essere umano è quello che dice “che chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova”.
Perciò dalla dualità accontentarsi o essere felici dipende, della tua vita, tutto!!!
Massimo Carrano